Nel tempo sospeso che il dolore crea,
tra luci fredde e attese che non han voce,
c’è un battito umano che non si vede
ma che si sente: è l’empatia che nasce.
Un infermiere china il capo leggero,
non solo per guardare, ma per ascoltare.
Dietro ogni camice c’è un cuore intero,
che prova a capire, senza giudicare.
Il paziente ha paura, e non lo dice,
ma lo sguardo cerca un rifugio sincero.
Una mano posata con dolce premura
diventa rifugio, diventa sentiero.
E accanto a quel letto, il familiare aspetta,
con gli occhi smarriti e il cuore che trema.
Anche lui è paziente, anche lui ha bisogno
di qualcuno che accolga la sua pena.
L’empatia è un filo che tutto sostiene,
non cura il male, ma allevia il peso.
È voce che calma, è silenzio che abbraccia,
è ciò che rende un gesto davvero acceso.
In quell’infermiere che ascolta e sorride,
c’è la forza invisibile che tiene insieme
la fragilità di chi chiede aiuto
e il coraggio di chi lo offre senza catene.

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