CAPITOLO II – Il suono delle cose spezzate

1. Gaza – La linea sottile del respiro

L’aria aveva l’odore acre della polvere da sparo e del pane bruciato. Gaza non si svegliava: si riapriva, ogni mattina, come una ferita fresca. Le strade, ricamate da crateri e detriti, erano percorse da bambini a piedi nudi e donne velate che stringevano sacchi di farina come neonati.

Le ambulanze correvano lente, con le sirene quasi sempre spente. Perché qui il silenzio era più sicuro del rumore.

Boruma camminava accanto a un ragazzino di dodici anni, Amir, che gli mostrava con orgoglio la cicatrice sulla gamba sinistra.

— “Mi ha salvato mia sorella. Mi ha coperto con il corpo quando sono arrivati i missili.”

Boruma annuì. Non servivano parole. Gli poggiò una mano sulla spalla, come un padre senza figli. Il suo sguardo toccava ogni cosa con tenerezza: i vetri rotti, i manifesti strappati, le mani nodose dei vecchi, le crepe sui muri come vene scoperte di una città viva, ma sfinita.

2. Cause invisibili, effetti visibili

Qui la guerra non era solo esplosione e morte. Era attesa, paura costante, insonnia.

Era il peso psicologico di sentirsi dimenticati, colpevoli senza processo, colpiti senza motivo.

I bambini non disegnavano case, ma elicotteri. Non giocavano a guardie e ladri, ma a “drone e rifugio”.

Una donna con il viso rigato da sabbia e pianto gli disse:

— “Non vogliamo vendetta, vogliamo solo dormire sapendo che domani esisterà.”

Boruma ascoltava. Sempre.

Con lo sguardo di chi non giudica, ma accoglie. Di chi non spiega, ma resta.

3. Flashback I – Il rumore della corsia

Mentre bendava una giovane ragazza con ustioni alle braccia, la mente lo riportò in una corsia illuminata al neon, a New York. Shelley sedeva su una sedia a rotelle, con un fazzoletto rosso tra i capelli e gli occhi persi oltre la finestra.

— “Mi guardi come se potessi salvarmi.”

— “No, ti guardo perché tu mi salvi ogni giorno.”

— “Non sei normale.”

— “Grazie.”

Shelley rideva piano. Rideva con le palpebre e con le mani. Quando morì, Boruma comprese che l’amore non finisce: si trasforma in gesto.

4. Gaza – L’ambulatorio e la preghiera

L’ambulatorio improvvisato era una stanza con un tavolo, due letti, e cassette di plastica con bende, siringhe, antidolorifici. Ma era anche una chiesa. Un tempio. Un punto d’incontro.

Una volta, un vecchio imam e un giovane prete latino-americano si incontrarono lì. Il primo disse:

— “Le religioni non fanno guerre. Lo fanno gli uomini che hanno dimenticato di amare.”

Boruma osservava in silenzio. Pregava a modo suo, tra una sutura e una carezza. Spesso correva anche lì, nei vicoli di Rafah, o lungo la spiaggia devastata. I bambini lo seguivano. Lo chiamavano “l’uomo veloce col cuore grande”.

5. Flashback II – Concetta e la radice

Una sera, dopo una lunga giornata al campo, si stese sul tetto di una casa mezza sventrata. Guardava il cielo, e nel cielo vide il volto di nonna Concetta.

La ricordava nel cucinino, mentre friggeva melanzane e diceva:

— “La gente che soffre, nun vo’ sentì chiacchiere, vo’ sentì presenza. E tu tieni ‘na presenza che fa bene ‘o core.”

Boruma aveva imparato da lei che le mani possono guarire, ma è lo sguardo che consola.

6. Scene dal campo

Un padre gli mostrò una foto: la moglie, i figli, la casa. Poi gliela porse come fosse un testimone.

— “Adesso questa è la mia vita. Ma io non so più se ho un futuro da offrirgli.”

Boruma gliela restituì con due parole:

— “Ce l’hai. Io ti vedo.”

Vedere qualcuno. Non solo guardarlo.

Empatia non è compassione. È prossimità. È presenza senza paura.

Boruma non voleva essere un eroe. Voleva solo essere un testimone gentile in mezzo alla polvere e al rumore. Un uomo che correva sulle macerie con lo stesso rispetto con cui si entra in una chiesa.

7. L’uomo che corre

Boruma correva al tramonto. Non per allenarsi. Non più.

Ogni passo era un pensiero. Ogni goccia di sudore, una preghiera.

La kefiah che portava al collo univa i colori: rosso, verde, blu, bianco.

Cristiani, ebrei, musulmani. Tre storie. Un unico cuore umano.

Un giorno, una bambina gli mise un fiore tra i capelli rossi.

— “Tu sei come un albero, Boruma. Vieni da lontano, ma fai ombra qui.”

E lui capì che non serviva cambiare il mondo. Bastava esserci, per una sola persona, nel momento giusto.

Posted in

Lascia un commento