Capitolo VI – Il ritorno delle onde

Il sole di Tel Aviv era una carezza silenziosa, dorata. Boruma si tolse la maglietta con un gesto lento, quasi cerimoniale, mentre Cru — l’akita americano che da giorni non si staccava più da lui — scodinzolava a riva, la lingua di fuori e lo sguardo fiero come un guerriero sopravvissuto.

Le acque del Mediterraneo si aprivano davanti a loro come una promessa: il sale, il vento, la luce, tutto sembrava dire “sei salvo”.

Boruma si tuffò.

Il primo impatto fu quasi violento, come se il mare volesse ricordargli che anche la purezza ha una sua forza. Poi, lentamente, l’acqua lo accolse nel suo abbraccio liquido, e ogni fibra del suo corpo si sciolse. Sentì le tensioni, la paura, i lividi dell’anima scivolare via, lasciandolo nudo di tutto, tranne che della sua verità.

Cru entrò subito dopo, goffo e regale, come un samurai curioso. Nuotava accanto a lui, ringhiando all’acqua e abbaiando al sole.

E allora, tra le onde, Boruma chiuse gli occhi. E si lasciò andare.

Massa Lubrense, estate del ’93.

La scuola era finita da tre giorni. Aveva la pelle chiara, che bastava uno spicchio di sole per farla arrossire, ma non importava. In quel momento della sua vita, niente importava.

Correva giù per le scale di pietra che portavano alla spiaggia, l’asciugamano stretto sotto il braccio e una manciata di fichi neri nella mano libera.

Sua madre rideva, bella come una cartolina in bianco e nero che però profumava di cocco e zagare. Il padre, giovane ancora, metteva in fresco il vino bianco. La sorella gridava che avrebbe vinto lei la gara a chi arrivava prima al Vervece, quel piccolo scoglio che sembrava la gobba di un vecchio addormentato nel mare.

Il primo bagno era sempre un rito. Si tuffava, e lì, per la prima volta dopo mesi, si sentiva libero. Liberissimo.

Nuotava guardando verso Capri, immaginando i miti greci che la nonna gli raccontava — Ulisse, le Sirene, il dolore e la gloria.

In quell’acqua cristallina, la vita era ancora intera. Intera, e luminosa.

Il rumore del mare lo riportò a Tel Aviv. Aprì gli occhi. Cru lo stava fissando, come a chiedergli: “Tutto bene, fratello umano?”

Boruma sorrise. «Sto tornando, amico. Sto tornando.»

Più tardi, seduto con Cru su una terrazza affacciata sul lungomare, sorseggiava un caffè turco e osservava il traffico pulsare sotto di lui. La città sembrava viva come non mai, eppure c’era qualcosa di stonato nell’aria. Un’ombra che non riusciva a decifrare.

Fu allora che lo vide.

All’inizio pensò fosse un miraggio. Una di quelle allucinazioni che la mente costruisce quando non vuole più sentire dolore. Ma poi gli occhi non mentirono.

L’uomo attraversò lentamente la strada, con passo sicuro e sguardo basso. Era più magro, più scavato, con i capelli un po’ più lunghi.

Ma era lui.

Joshua.

Il fratello di Shelley.

Creduto morto da anni, sepolto sotto le macerie di un’esplosione in un’operazione non meglio identificata in Siria.

Boruma balzò in piedi, facendo rovesciare la tazza. «Cru, vieni!»

Scese le scale correndo, il cuore in gola. Seguì l’uomo per un paio di isolati, finché lo vide infilarsi in una porta laterale, stretta, senza insegne.

Boruma esitò solo un attimo, poi spinse la porta.

Dentro, il tempo sembrava essersi fermato. Un corridoio buio, odore di cuoio e metallo, e poi una stanza piena di monitor. Silenziosa. Un uomo alto gli si parò davanti, in abiti civili ma con l’aria da militare.

«Chi ti ha detto di entrare qui?» chiese con tono neutro ma fermo.

«Ho visto Joshua. È… è il fratello di Shelley.»

L’uomo lo fissò a lungo, poi abbassò lo sguardo.

«Tu sei Boruma.»

Il gelo gli percorse la schiena. «Come lo sai?»

«Perché Joshua ci ha parlato di te. Molto. E Shelley… anche lei lavorava con noi.»

Il mondo gli crollò sotto i piedi. Tutto ciò che credeva di sapere sulla donna che aveva amato — le sue passioni, le sue fughe inaspettate, i suoi silenzi improvvisi — prendeva improvvisamente un’altra forma.

Una forma fatta di missioni segrete, dossier nascosti, bugie necessarie.

«Shelley… non era un’insegnante d’arte?»

L’uomo sorrise appena, inclinando la testa. «Lo era. Ma era anche qualcosa di più. Molto di più.»

Boruma uscì da lì in silenzio, seguito da Cru che pareva comprendere il peso del momento.

Camminarono lungo la spiaggia, fino a sera inoltrata. Le stelle cominciavano a punteggiare il cielo come una fitta trama di segreti.

Non sapeva ancora tutto. Ma una cosa era certa: Shelley aveva vissuto una vita doppia. E lui stava solo ora iniziando a scoprire l’altra metà.

E forse, quella metà… lo riguardava molto più di quanto immaginasse.

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