Capitolo IX – Gli occhi dell’uomo sul tetto

Il silenzio calò sul cortile come una coperta di cemento.

I bambini smisero di scrivere. Cru si piantò con le zampe davanti a Boruma, la coda rigida come una lancia. Solo il vento continuava a muovere i lembi strappati della bandiera bianca che sventolava all’ingresso della scuola.

Boruma alzò lentamente lo sguardo. L’uomo era fermo sul tetto, con un’arma a tracolla. Non puntava, non parlava. Osservava. E quello sguardo gli scavava dentro come una lama che cercava qualcosa sotto la pelle.

Lo riconobbe. Era il più giovane dei tre che lo avevano interrogato mesi prima. Quello che non parlava, che prendeva appunti. L’uomo delle domande mute.

Joshua non era nei paraggi. Boruma fece un passo avanti, come se il gesto potesse proteggere tutti.

«Tenete i bambini dentro,» disse piano, senza distogliere lo sguardo.

Cru abbaiò una sola volta. Forte. Deciso. I bambini corsero via. Nessuno pianse. Avevano imparato che la paura si affronta senza far rumore.

L’uomo sul tetto fece un cenno con il capo. Non era minaccioso. Sembrava… turbato. Poi scomparve dietro la parete di lamiera.

Più tardi, Joshua rientrò da una riunione con l’UNRWA e trovò Boruma seduto sotto il fico secco in fondo al cortile, accarezzando distrattamente Cru.

«So che l’hai visto,» disse Joshua. Non era una domanda.

Boruma annuì. «Chi è?»

«Si chiama Eliel. Fa parte del Mossad, ma… è più complicato di così. Shelley gli aveva salvato la vita, anni fa. Durante una missione incrociata tra Rafah e Khan Younis. Non avrebbe dovuto raccontarmelo, ma una notte — mentre guardavamo il mare — lo fece.»

Boruma chiuse gli occhi.

«Perché è qui?»

«Credo stia cercando perdono. O forse qualcosa che somigli alla pace. Quella vera. Ma non sa da dove iniziare.»

Quella notte, Boruma lasciò Cru a dormire con i bambini. Voleva che sentissero almeno un respiro costante. Salì sul tetto in silenzio, portando con sé due bicchieri di tè alla menta. Lo trovò lì, seduto, con la pistola riposta e lo sguardo fisso sulle stelle.

«Shelley non parlava mai di te,» disse Boruma, sedendosi accanto a lui.

«Eppure ha parlato di me in ogni gesto che faceva,» rispose Eliel. «Mi ha insegnato a disarmare l’odio. Non ci sono riuscito. Ma non ho smesso di provarci.»

Boruma gli porse il bicchiere. Restarono in silenzio a bere. A volte le verità si dicono solo nel silenzio condiviso.

«Sai cosa mi ha colpito, oggi?» disse Boruma, dopo un po’. «I bambini. Loro non sanno nemmeno cos’è la vendetta. Per loro la guerra è normale, eppure la superano ogni giorno con un disegno, una risata, un morso di pane. Siamo noi adulti a essere prigionieri. Loro volano leggeri. E ci insegnano a farlo, se abbiamo il coraggio di ascoltarli.»

Eliel annuì. Non disse altro. Ma quando si alzò per andarsene, lasciò un biglietto sotto il bicchiere. Una scritta in ebraico, con la traduzione sotto:

“Chi salva un bambino, salva il mondo intero.”

– Shelley

Il giorno seguente, Boruma entrò nella piccola aula che stavano costruendo con sacchi di sabbia e lamiere riutilizzate. Era un luogo fragile, ma pieno di voci.

Nel mezzo della lezione, mentre i bambini disegnavano le lettere dell’alfabeto, una delle bambine più silenziose — Layan — alzò la mano.

«Maestro Boruma…»

«Dimmi, Layan.»

«È vero che c’è una biblioteca segreta sotto la scuola?»

Boruma sgranò gli occhi. «Chi te l’ha detto?»

«Cru.»

Lo disse seria, come se fosse ovvio.

Tutti risero. Anche Boruma. Ma Joshua, che era lì per sistemare un generatore, smise per un attimo di respirare.

«Cosa intendi, Layan?» chiese, più curioso che spaventato.

La bambina indicò il pavimento. «Ieri Cru ha grattato tanto qui. E ho sentito un rumore. Come un’eco. Come se ci fosse qualcosa sotto.»

Boruma si inginocchiò. Picchiò piano sul pavimento di terra battuta. Il suono era diverso in quel punto. Vuoto. Rimbombante.

Joshua si avvicinò. I due si guardarono senza dire nulla. Poi cominciarono a scavare.

Dopo appena mezz’ora, trovarono una botola. Chiusa da anni. Con un lucchetto arrugginito e sopra inciso un simbolo: una rosa e un cactus intrecciati.

Boruma poggiò la mano sul legno. Gli tremava.

«Shelley…» sussurrò. «Cos’hai nascosto qui sotto?»

Cru abbaiò. Una volta sola.

E la porta cominciò ad aprirsi.

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