CAPITOLO XIII LA CORSA DEL CUORE

Il vento si levava leggero, ma nell’aria densa del deserto diventava subito una lama che bruciava sulla pelle. Il sole alto sembrava non concedere tregua, eppure Boruma sapeva che quella corsa era necessaria, un compito affidatogli dai Custodi della Rosa e del Cactus. Non era un semplice allenamento: era una prova di resistenza, un rito che da secoli i popoli della regione avevano trasformato in simbolo.

“Per arrivare alla verità” gli aveva detto il più anziano dei Custodi, “bisogna imparare a resistere, come il deserto resiste al vento e al fuoco del sole. Questa corsa sarà il tuo cammino verso la luce.”

Cinquanta chilometri, a piedi, lungo le antiche piste carovaniere. Nessun premio, nessun pubblico: solo lui, il suo respiro e la sabbia che scricchiolava sotto le scarpe.

Boruma partì all’alba, mentre i bambini del villaggio si stringevano attorno a lui con occhi spalancati di meraviglia. Alcuni ridevano, altri lo imitavano correndo per pochi metri, finché il fiato corto li costringeva a fermarsi.

«Boruma!», gridò un ragazzino con i piedi scalzi, «perché corri così tanto se nessuno ti insegue?»

L’uomo sorrise, rallentò il passo quel tanto che bastava per posare una mano sulla testa del bambino.

«Corro perché il vento mi ricorda che sono vivo. Corro perché il sole mi dà la forza che mia madre mi donava da ragazzo. Corro per le persone che hanno perso la speranza, perché mentre corro io sento che la speranza non muore mai.»

Un’altra bambina, dai capelli scuri raccolti in due trecce, gli domandò con serietà:

«Ma non hai paura di cadere? Di non farcela?»

Boruma la guardò negli occhi, e rispose con dolce fermezza:

«Ogni volta che corro sfido quella paura. Da giovane correvo per vincere me stesso, per superare i miei limiti. Sognavo di partecipare alla corsa degli Iron Man, di affrontare il deserto come fosse un nemico. Ora no. Ora corro per amore. Ogni passo che faccio non è solo mio: appartiene anche a voi, a chi ha perso la propria casa, a chi ha perso i propri cari. La corsa è il mio modo di dirvi che nessuna ombra potrà mai spegnere la luce che ci abita dentro.»

I bambini lo applaudirono come se fosse un eroe, poi lo guardarono allontanarsi, mentre il suo corpo snello e atletico diventava un punto luminoso contro il bagliore del deserto.

Boruma correva come aveva sempre fatto: con i capelli ramati-dorati che ondeggiavano al ritmo del vento, con i muscoli che obbedivano alla memoria di anni di disciplina. Ogni falcata gli ricordava i pomeriggi a Sorrento, quando la corsa era il modo per scaricare la rabbia della perdita della madre; ogni respiro gli riportava alla mente gli studi classici, i testi che parlavano della virtù del corpo e della mente, del legame sacro tra armonia e fatica.

La strada si fece lunga e silenziosa. Intorno a lui solo sabbia e roccia, ma dentro di sé Boruma sentiva di non essere mai stato così accompagnato. Ogni passo era una preghiera, ogni goccia di sudore un’offerta, ogni chilometro un ponte che univa la sua vita passata al presente.

Al trentesimo chilometro, il sole sembrava piegarlo. Si fermò un istante, ansimante, e proprio allora una voce interiore si levò chiara: non correre per te, corri per loro. Fu come se il peso scomparisse. Riprese il ritmo, più deciso che mai.

Alla fine, dopo ore di corsa, intravide i Custodi della Rosa e del Cactus che lo attendevano ai margini di un antico pozzo abbandonato. Portavano i loro mantelli leggeri, i volti segnati dal tempo ma gli occhi accesi di saggezza. Boruma arrivò stremato, le gambe ancora fremanti come quelle di un cavallo libero.

Il Custode più giovane gli porse una ciotola d’acqua e disse:

«Hai corso non per vincere, ma per donare. Ed è questo che ti rende diverso. Il deserto ti ha riconosciuto.»

Boruma bevve lentamente, poi sollevò lo sguardo verso l’orizzonte. E fu allora che la vide: un’ombra, lontana, stagliata contro la luce rossa del tramonto. Un’ombra che sembrava attendere, pronta a sfidare ciò che di luminoso aveva appena conquistato.

Il vento cambiò direzione, come un avvertimento. Boruma sentì che la corsa non era finita: quella nel deserto era stata solo la preparazione. La vera sfida stava arrivando, e l’ombra non avrebbe avuto pietà.

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