Il deserto taceva. La notte calava lenta, spogliata di ogni dolcezza, e il silenzio si faceva così fitto da sembrare un mantello.
L’ombra, ora separata dal pozzo, prendeva forma davanti a Boruma. Non era un mostro, né un uomo: era il riflesso dei suoi timori, la sua stessa immagine, spogliata di luce. I Custodi la contemplavano in cerchio, come se assistessero a un rito atteso da secoli.
Boruma sentì la gola secca. «Cosa vuole da me?» chiese, rivolto ai Custodi.
Fu il più anziano a rispondere, con voce roca ma limpida:
«Vuole ciò che non hai mai concesso a te stesso: il riconoscimento. Non cerca di ucciderti, ma di vivere in te.»
L’Ombra parlò, e la sua voce era un eco che proveniva da dentro le ossa:
«Tu hai corso… ma sempre per fuggire. Non per amare. Non per restare.»
Boruma serrò i pugni. «Non è vero!» protestò. «Corro per i bambini che ho visto ridere tra le macerie, corro per Shelley, corro perché la vita merita movimento!»
Il Custode più giovane scosse il capo. «Non difenderti. Ascolta. La verità non è un’accusa, è uno specchio.»
Boruma deglutì. «E se lo specchio riflette un uomo codardo?»
L’anziano sorrise appena, con malinconia:
«Allora quel codardo chiede di essere abbracciato. Nulla di ciò che siamo può essere gettato via. Ogni parte rifiutata diventa Ombra.»
L’Ombra tese le mani, affilate come lame. «Accoglimi o ti divorerò.»
Cru ringhiò, le orecchie tese, pronto a balzare. Ma Boruma alzò una mano per fermarlo.
«Sei davvero parte di me?» chiese, la voce incrinata.
«Io sono il ragazzo che piangeva la madre correndo di notte a Sorrento. Sono l’uomo che ha cercato nel corpo la fuga dal dolore. Sono il sopravvissuto che amava Shelley e che l’ha persa. Io sono tutto ciò che hai rifiutato di guardare.»
Boruma sentì il petto stringersi. Ricordi affiorarono come ferite riaperte: la bulimia, le corse solitarie, le notti di disperazione. Si voltò verso i Custodi: «E se accetto l’Ombra… cosa divento?»
Il Custode più giovane rispose piano:
«Intero.»
Seguì un lungo silenzio. Poi Boruma inspirò a fondo, avanzò un passo e tese la mano. «Allora vieni. Non sarò più il tuo carceriere. Cammineremo insieme.»
Quando le dita dell’Ombra toccarono le sue, una scarica violenta attraversò il suo corpo. Urlò, piegandosi sulle ginocchia. Cru ululò alla luna, e persino la sabbia del deserto parve vibrare.
L’Ombra si fuse in lui: non come un veleno, ma come una lama incandescente che incideva per guarire. Boruma sentì bruciare ogni cicatrice interiore, ma al tempo stesso una forza nuova prendeva radice in lui.
«Non sei più incompleto» disse l’anziano Custode. «Il deserto dell’anima non ti inghiottirà. Ma ricorda: l’Ombra accettata è anche un potere che può corrompere. Sta a te scegliere come usarlo.»
Boruma, ansimante, rialzò lo sguardo. In lontananza, sull’orizzonte, un bagliore dorato tagliava le tenebre.
Stava per sorridere, quando tra le rocce scorse una sagoma. Non era un Custode. Non era un miraggio. Gli occhi di quell’uomo li conosceva bene: gli stessi che lo avevano trafitto nel campo di prigionia.
«È lui…» mormorò, con un brivido che lo attraversò.
L’Ombra, ormai dentro di sé, sussurrò con una voce che solo lui poteva udire:
“Il cammino interiore è compiuto. Ora inizia quello esterno. Preparati.”
Il deserto restò in silenzio, come trattenendo il respiro.
La sfida non era finita: era appena cominciata.

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