Un corpo si arresta,
ma non si spegne.
Il suo silenzio diviene seme,
la sua fine si trasforma in principio.
Attorno, medici e infermieri
chinano il capo in un gesto solenne:
non è solo un rito,
è un atto di gratitudine
che riconosce la sacralità del dono.
Nell’inchino del Giappone
c’è l’essenza dell’umano:
il rispetto profondo
per chi ha scelto di vivere negli altri.
Ogni organo affidato
è un poema che continua a scriversi,
una melodia che si propaga
in corpi differenti,
in storie che ricominciano.
Donare è farsi eredità invisibile,
è superare i confini del proprio tempo,
è restare vivi nel respiro altrui.
E in quell’inchino muto,
si eleva la più alta preghiera:
la vita che passa,
la vita che resta,
la vita che fiorisce ancora.

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