(poesia per le persone affette da HIV, AIDS ed epatiti)
C’era un tempo,
non molto lontano,
in cui la paura aveva il volto dell’ignoranza
e il silenzio uccideva più del virus.
Bastava un contatto, dicevano,
una mano sfiorata,
un bicchiere toccato,
per diventare ombra tra le ombre.
E così la gente fuggiva,
voltava lo sguardo,
chiudeva porte e cuori,
lasciando soli
proprio quelli che avevano più bisogno
di una carezza.
Io arrivai giovane,
con un camice ancora bianco di sogni,
nelle corsie di Malattie Infettive.
E loro mi insegnarono tutto.
C’era chi aveva scambiato una siringa
per sentirsi vivo un istante.
C’era chi aveva inseguito una notte d’amore
che si trasformò in condanna.
C’era chi portava in sé
il tradimento di una trasfusione,
di un’operazione,
di un dentista distratto
o di un destino capriccioso.
Eppure,
in quegli occhi non vidi mai contagio,
ma umanità pura.
Loro,
gli emarginati dal mondo,
apprezzavano il contatto più di chiunque altro:
una mano sulla spalla,
un sorriso senza guanti,
una presenza che non aveva paura.
Mi parlavano dei loro sogni,
di quello che avrebbero voluto fare
“quando tutto questo finirà”,
e io ascoltavo,
in silenzio,
sentendo ogni parola scivolare
come una goccia di verità.
Alcuni ridevano del proprio destino
con una gentile ribellione,
altri piangevano ciò che non avrebbero più avuto.
Tutti, però,
avevano lo stesso desiderio:
non essere dimenticati.
Oggi la scienza è una vela spiegata:
la mortalità è scesa,
le terapie funzionano,
il futuro non fa più così paura.
Eppure —
non dobbiamo abbassare la guardia,
perché il rispetto,
la prevenzione,
la memoria
sono ancora la nostra cura più grande.
Questa poesia è per loro:
per chi c’è,
per chi non c’è più,
per chi combatte ogni giorno
senza clamore.
È un inno al coraggio
di chi si è rialzato,
alla forza di chi ha amato comunque,
alla dignità di chi ha sfidato lo stigma
con un sorriso più forte del giudizio.
Perché il mondo,
tesoro mio,
lo hanno illuminato loro:
gli invisibili,
i dimenticati,
i fragili che non hanno mai smesso
di insegnarci
che la vita è sempre più grande della paura.
E noi —
noi che li abbiamo toccati, ascoltati, amati —
siamo custodi della loro storia.
Per sempre.

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