Capitolo X – Il manoscritto della Rosa e del Cactus

Il legno della botola cigolò con un suono che pareva il sospiro di un secolo dimenticato. L’aria che ne uscì era spessa, odorava di papiro, terra e incenso. Cru si mise seduto. Non mosse un passo. Solo gli occhi fissi su Boruma, come a dirgli: “Sei pronto?”

Boruma accese la torcia. Il fascio di luce tremolante incontrò una scala di pietra scavata nel terreno. I gradini parevano scolpiti a mano, lisciati dal tempo e forse anche da altre mani, mani che avevano portato con sé la fede, la paura, o l’amore.

Joshua posò una mano sulla spalla di Boruma.

«Non sei solo.»

«Non lo sono mai stato.»

Scese. Uno, due, dieci gradini. Poi il corridoio si aprì come un respiro trattenuto troppo a lungo.

Una biblioteca sotterranea, nascosta sotto una scuola fatta di sabbia e lamiere. I muri erano rivestiti di scaffali incavati nella roccia, pieni di rotoli antichi, testi cuciti a mano, tavolette lignee, pergamene ingiallite, scritti in greco, ebraico, latino, aramaico. Al centro, un tavolo basso e largo, decorato con intagli a forma di rosa e cactus intrecciati, lo stesso simbolo della botola.

Boruma si avvicinò. Su quel tavolo c’era un manoscritto poggiato con delicatezza, come se ogni parola al suo interno avesse il peso di una preghiera.

Il titolo inciso:

“Epistolæ ad Amorem – Lettere all’Amore”

Firmato da un nome sconosciuto: Mariam di Magdala, discepola del vento.

Boruma aprì lentamente il primo foglio. La scrittura era fine, quasi danzante.

“L’Amore non ha religione.

L’Amore non conosce frontiere.

Chi lo divide, lo tradisce.

Chi lo accoglie, lo rivela.”

Tra le righe, però, qualcosa attirò l’occhio di Boruma: alcune lettere, leggermente più grandi, formavano parole nascoste se lette in sequenza. Joshua le trascrisse su un foglio:

“Custodi unitevi. Il giardino esiste.”

Un invito. Un richiamo attraverso i secoli.

L’intero manoscritto era una raccolta di lettere, diari e racconti, scritti da uomini e donne vissuti nei primi secoli dopo Cristo, ma anche da sapienti e mistici ebrei, musulmani sufi, monaci copti e cristiani aramaici. Parlavano tutti la stessa lingua: quella dell’Amore assoluto, libero da dogmi.

Alcuni passaggi erano scioccanti nella loro forza. In uno, un certo Rabbi Ezra scriveva:

“La Torah, il Vangelo e il Corano sono tre finestre dello stesso giardino.

Chi le chiude per paura, rinuncia alla luce.”

In un altro, un frate cristiano raccontava di riunioni segrete tenute a Betlemme nel IX secolo, dove imam, rabbini e preti pregavano insieme per la pace del mondo, nel silenzio del deserto.

Joshua, che leggeva accanto a lui, mormorò: «È come se Shelley ci avesse lasciato un’eredità che attraversa i millenni. Forse era questo il suo progetto… proteggerlo, e un giorno… rivelarlo.»

Notte senza stelle

La scoperta non passò inosservata.

Due notti dopo, mentre Boruma ricopiava alcuni passi per non danneggiare gli originali, un rumore sordo lo fece sobbalzare. Joshua entrò di corsa. Il viso pallido.

«Ci sono stati movimenti armati vicino al perimetro. Non è Hamas, né IDF. È qualcosa di… diverso. Anonimo. Ordinato. Spietato.»

Poco dopo, trovarono un segno inciso con un coltello sulla porta della scuola. Un cerchio barrato con una X. Un messaggio chiaro:

“Il caos serve all’ordine.

L’unità ci indebolisce.”

Boruma non dormì. Nemmeno Cru. Si sedette sotto il fico secco e aprì una delle lettere del manoscritto, scritta da una donna persiana convertita all’islam, che aveva salvato una famiglia cristiana durante una persecuzione.

“Dio non ha patria.

Dio non ha nome.

Ma chi ama, lo chiama per quello che sente.”

Le lacrime gli scesero senza vergogna. Perché in quelle parole c’erano Shelley. C’erano le madri morte nei bombardamenti. I bambini che imparavano a leggere tra le esplosioni. Joshua, con la sua dignità silenziosa. E persino Eliel, il soldato spezzato.

L’inizio di un nuovo cammino

Boruma decise che il mondo doveva sapere. Ma non bastava un annuncio. Non bastava un articolo o un video.

Serviva una rete. Un movimento. Una nuova alleanza.

Contattò una suora francescana conosciuta anni prima a Gerusalemme. Un rabbino laico che aveva salvato ebrei e palestinesi durante la seconda intifada. Un imam mistico che citava Rumi e il Cantico dei Cantici nello stesso sermone. E Joshua, ovviamente.

Nacque una comunità segreta, chiamata “Custodi della Rosa e del Cactus”.

Ma qualcuno li osservava.

Dall’alto di una collina, in una jeep nera senza targa, un uomo parlò al telefono satellitare. La luce della luna rivelò una cicatrice sottile che gli tagliava l’angolo dell’occhio sinistro, come una virgola scritta col fuoco.

«Hanno trovato la biblioteca. Hanno cominciato a leggere.»

Una pausa. Poi:

«Procedete. Il caos è più utile della pace.»

Posted in

Lascia un commento