La notte calava lentamente sulla Striscia, densa di fumo e polvere. Ogni respiro di Boruma era un pugno contro il petto, mescolato all’odore acre di ferro bruciato, cenere e sudore dei bambini che ancora tremavano tra le macerie. I lampi delle esplosioni lontane illuminavano i tetti sfondati, proiettando ombre irregolari sulle pareti scrostate, come se la città stessa respirasse, ferita e inquieta.
Cru si accucciò accanto a Boruma, il pelo rigido, le orecchie tese verso ogni minimo rumore. Ma non era un pericolo fisico che li minacciava in quel momento: era qualcosa di più sottile, più insidioso. L’aria vibrava di tensione, e Boruma sentiva ogni fibra del suo corpo pronta a scattare, come se avesse intuito un segreto che non era ancora stato svelato.
Dal fumo emerse una figura, e subito il cuore di Boruma batté all’impazzata. Non era un fantasma, non era un uomo qualunque: era il fratello di Shelley. Ma qualcosa in lui era cambiato. L’aria attorno alla sua presenza sembrava più densa, quasi magnetica, come se emettesse energia che Boruma non riusciva a decifrare. Lo sguardo, un tempo limpido e rassicurante, ora era freddo, calcolatore, eppure carico di un fascino inquietante.
Boruma strinse le mani, sentendo le nocche diventare bianche.
«Sei tu…» mormorò, come se pronunciare il nome potesse rendere reale ciò che stava vedendo.
Il fratello avanzò lentamente, i passi misurati e silenziosi tra detriti e polvere, il mantello nero che sfiorava il terreno coperto di vetri rotti e brandelli di stoffa. La luce tremolante del fuoco faceva danzare i suoi lineamenti, creando una maschera di ombre e luci che lo rendevano quasi irriconoscibile, eppure Boruma lo riconobbe subito.
«Non hai paura di me?» chiese il fratello, con una voce profonda, ferma, ma stranamente distante, come se provenisse da un luogo lontano dentro di lui.
Boruma inspirò a fondo, il cuore pulsante. «Paura? Non lo so… è più… confusione. E rabbia. E dolore. Perché sei qui? Perché apparire tra le macerie proprio ora?»
Il fratello scosse lievemente il capo, e per un istante la sua espressione tradì un lampo di rimorso. Poi la voce tornò calma, tagliente come una lama.
«Perché il tempo delle mezze verità è finito. Boruma… tu non sai tutto. I Custodi, la Rosa, il Cactus… tutto ciò che credi sacro è stato messo in discussione. E io… io sono stato costretto a fare scelte che avresti giudicato tradimento.»
Boruma strinse la mascella, il respiro corto. «Tradimento? Sei tu… il fratello di Shelley! Come puoi…?»
Il fratello si fermò, e per la prima volta Boruma notò il tremito appena percettibile nelle sue mani. «Per proteggere ciò che conta davvero, a volte devi diventare ciò che gli altri temono. Sono stato un ingranaggio nelle mani della casta che decide il destino degli uomini. Ho accettato di essere la loro lama nascosta per salvare ciò che Shelley e tu avete sempre difeso: l’amore disinteressato, la speranza, la possibilità di un mondo migliore.»
Boruma sentì un gelo attraversargli la schiena. Ogni parola era una lama che tagliava vecchie certezze. La presenza del fratello non era un conforto: era un avvertimento. Ogni gesto, ogni respiro, ogni sguardo suggeriva un equilibrio precario tra lealtà e tradimento, tra verità e menzogna.
«E i bambini?» chiese Boruma, la voce un filo. «E tutto ciò che abbiamo fatto per proteggerli? Perché metterli a rischio?»
Il fratello inspirò profondamente, lo sguardo rivolto verso le fiamme che illuminavano il villaggio devastato. «Non li metto a rischio. Li proteggo. Ma la protezione ha un prezzo. Non tutti possono comprendere le regole della casta, e io… io ho dovuto diventare il loro strumento. La guerra che vedete qui… e quella che domina il mondo intero… nasce dalle incomprensioni, dall’avidità, dalla paura di vedere ciò che esiste oltre l’odio. Solo chi sa amare senza interessi può cambiare davvero le cose.»
Boruma chiuse gli occhi un attimo, lasciando che le parole penetrassero, come acqua che scava la roccia. La verità era dura, crudele eppure illuminante. Il fratello, il presunto traditore, non era il nemico: era l’anello che collegava il passato doloroso alla possibilità di un futuro diverso.
Cru si accucciò accanto a Boruma, abbaiando sommesso, come se anche lui comprendesse la delicatezza del momento. La notte intorno a loro era viva, piena di fumo, detriti, odori di ferro e cenere, ma dentro quell’oscurità, Boruma vide una luce nascere: la possibilità che l’amore disinteressato potesse davvero diventare una forza capace di sfidare il mondo intero.
Il fratello si avvicinò, posando una mano pesante sulla spalla di Boruma. «Non sei solo, Boruma. Non lo siamo mai stati. Ma ora, ogni scelta, ogni passo, ogni respiro… sarà un bivio. E le ombre che ci circondano… vogliono impedirci di camminare nella luce.»
Boruma inspirò profondamente, la mente un turbine di emozioni, e comprese che la notte appena iniziata sarebbe stata solo il prologo di una tempesta più grande: una tempesta in cui la lealtà, l’amore e la verità avrebbero combattuto contro il tradimento, la paura e l’odio che governano gli uomini da secoli.
E in quel momento, tra il fumo, le macerie e la luna che illuminava le ombre del villaggio, Boruma sentì per la prima volta il peso del destino e la possibilità di sfidarlo.
Il silenzio durò solo un battito di cuore. Poi, dal fondo del villaggio, arrivò un rumore secco: passi rapidi, metallici, calpestando detriti. Boruma strinse la mano sul collare di Cru, mentre il fratello avanzava accanto a lui, un’ombra scura che sembrava conoscere ogni angolo del terreno devastato.
«Non sono soli,» sussurrò il fratello. «La casta sa che sono qui… e sa anche di te.»
Boruma rabbrividì. La casta: uomini invisibili che tirano i fili dei poteri politici e militari, strumenti dell’odio globale, custodi di segreti che hanno guidato guerre e sofferenze. Ogni volta che pensava di averli sfidati, scopriva che la morsa era più stretta di quanto avesse immaginato.
«Allora siamo pedine?» domandò, la voce roca.
«No,» rispose il fratello, lo sguardo fisso su una porta di metallo parzialmente distrutta. «Siamo l’ostacolo. Se vogliamo cambiare il mondo, dobbiamo muoverci tra le loro ombre senza farci notare… ma allo stesso tempo dobbiamo mostrargli che la loro paura non ci può fermare.»
Un colpo di vento sollevò polvere e piccoli frammenti di vetro, e Boruma notò qualcosa muoversi tra le ombre: figure snelle, silenziose, vestite di nero, che si muovevano come fantasmi tra le macerie. Non erano bambini, non erano uomini comuni. Erano agenti della casta, mandati per monitorare, intimidire, forse eliminare chi sfida il loro ordine.
«Vanno verso il rifugio dei bambini,» disse Boruma, sentendo la rabbia salire. «Non possiamo lasciarli lì!»
«Neppure un passo fuori dal piano,» avvertì il fratello. «Se reagiamo in fretta, li perderemo. Dobbiamo usare la mente, non la forza bruta.»
Boruma respirò profondamente, il cuore che batteva come tamburi di guerra. La strategia era chiara, ma la tensione era palpabile. Dovevano salvare i bambini senza farsi scoprire, proteggere ciò che Shelley aveva lasciato come eredità e, allo stesso tempo, dimostrare alla casta che l’amore disinteressato non è debolezza.
Le ombre avanzavano. Cru emise un ringhio basso, ma silenzioso, mentre Boruma e il fratello si muovevano tra macerie e detriti, come spettri tra altri spettri. Ogni gesto, ogni passo, ogni respiro era calcolato. Il fratello sussurrava istruzioni precise, indicando percorsi, vie di fuga, nascondigli improvvisati.
E poi Boruma lo vide: un bambino, un piccolo volto coperto di polvere, occhi spalancati dalla paura. L’eco dei passi della casta si avvicinava. Senza pensarci, Boruma si gettò avanti, prendendo il bambino in braccio. Cru si mise davanti, mostrando i denti, abbaiando con rabbia controllata.
Il fratello osservava, silenzioso, e Boruma sentì la verità nascosta nelle sue azioni: anche se sembrava traditore, la sua presenza in quel momento non era minaccia, ma protezione. Ogni mossa calcolata era un messaggio silenzioso: possiamo affrontare le tenebre, se restiamo fedeli all’amore e alla speranza.
Le figure nere si fermarono a qualche metro, scrutando attentamente. Nessuna parola, solo silenzio carico di tensione. Poi, come se una decisione invisibile fosse stata presa, una di loro fece un cenno, e sparirono tra le macerie, lasciando Boruma, il fratello e i bambini in un silenzio carico di sollievo e paura.
Boruma respirò a fondo, il corpo tremante, ma il cuore illuminato da una consapevolezza nuova: il tradimento apparente del fratello non era fine, ma inizio. La lotta era appena cominciata, e il messaggio che avrebbe cambiato tutto — che l’amore senza interessi poteva sfidare ogni guerra — doveva ora trovare strada nel mondo, tra inganni, incomprensioni e ombre di potere.
E mentre la notte continuava a respirare attorno a loro, Boruma comprese che la vera battaglia non era solo tra uomini armati, ma tra chi sceglie di amare e chi sceglie di odiare.

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