Il primo colpo arrivò come un fulmine.
Un rumore secco, ferro contro pietra, poi la luce. Una granata accecante esplose a pochi metri da loro, illuminando il vestibolo con un lampo bianco che sembrò spaccare l’aria. Rosy si coprì il volto, Cru ringhiò. Boruma, d’istinto, spinse il beduino verso un pilastro e si mise davanti, stringendo il Sigillo al petto.
Dalle tenebre si staccarono le prime figure: uomini della Casta, in tute grigie e maschere traslucide. Si muovevano in sincronia perfetta, come marionette dallo stesso respiro. Le armi corte riflettevano la luce della torcia di Rosy, che ora oscillava come un piccolo sole intrappolato.
«Restate dietro,» disse Boruma piano, la voce che non tremava.
Cru gli si mise accanto, il pelo gonfio e gli occhi fissi sull’avversario più vicino.
L’uomo con la cicatrice apparve per ultimo. Era scalzo, il volto segnato da un taglio nuovo sulla guancia.
«Ti avevo avvertito,» disse, e nella voce non c’era rabbia, ma una rassegnazione cupa. «Il Sigillo non vuole essere portato via.»
«Allora dovrà imparare a correre,» rispose Boruma, e sorrise con quell’ironia che era il suo modo di restare vivo.
Il primo attacco fu corpo a corpo. Due uomini scattarono in avanti; Boruma abbassò il baricentro, caricando con una torsione da maratoneta. Il ginocchio del primo cedette, il secondo fu spinto contro la vasca di pietra. Cru lo travolse, strappandogli via la maschera con un morso preciso.
«Brutto mestiere, essere senza volto,» disse Boruma. «Non si può neanche arrossire.»
Un colpo sibilò alle sue spalle. Rosy gridò: «A terra!» e la torcia esplose in mille frammenti incandescenti. Il beduino, con gesto rapido, lanciò sabbia dal pavimento, accecando per un istante gli uomini rimasti.
Fu allora che accadde.
Il Sigillo, ancora avvolto nella sciarpa, pulsò. Una luce dorata filtrò tra le pieghe del tessuto, salendo lungo le braccia di Boruma come vene di fuoco. Le pareti risposero con bagliori azzurri: le iscrizioni sui muri si accesero, e ogni parola parve sussurrare qualcosa, come una preghiera dimenticata.
Rosy guardò la scena senza fiato. «Sta reagendo a te…»
«O mi sta scegliendo,» rispose Boruma, stringendo i denti.
L’uomo con la cicatrice avanzò, lento. «Attento a quello che desideri, corridore. Il Sigillo dona ciò che chiedi… e prende ciò che ami.»
La frase lo trafisse. Boruma pensò a Shelley, a sua madre, a sua nonna. Pensò a tutte le volte in cui l’amore gli era stato tolto, e comprese: non aveva più nulla da perdere, se non la verità.
«Allora venga pure,» disse piano. «Ma non toccherete i miei vivi.»
Con un gesto rapido, strappò via la sciarpa. Il Sigillo esplose in una luce che non era né calda né fredda, ma viva. Le tre lingue incise cominciarono a ruotare su se stesse come anelli d’oro. Gli uomini della Casta arretrarono, gridando. Le loro ombre si scioglievano sulle pareti come cera bruciata.
Cru abbaiò, un suono che sembrò fondersi con il ruggito del vento. Rosy, coprendosi gli occhi, gridò: «Boruma, chiudilo!»
«Non posso. È lui che mi sta leggendo!»
Nel lampo successivo, il Sigillo proiettò immagini nell’aria: bambini che ridevano, soldati che si abbracciavano, mani diverse che si stringevano sopra una tavola. Poi, improvviso, il contrario: città distrutte, volti deformati dall’odio, uomini inginocchiati davanti a schermi luminosi.
Boruma cadde in ginocchio, le mani sul petto, il respiro corto.
«È questo il vostro potere?» urlò. «Creare e distruggere la speranza come se fosse un interruttore?»
L’uomo con la cicatrice si fermò a un passo. «Non nostro. Dell’umanità. Noi abbiamo solo imparato a usarlo.»
Boruma sollevò lo sguardo. «E io vi insegnerò a restituirlo.»
Con uno sforzo che non sapeva di possedere, afferrò il Sigillo con entrambe le mani. Cru gli si mise accanto, il corpo teso, quasi pronto a saltare contro la luce stessa. Rosy chiuse gli occhi, sussurrando una preghiera che mescolava italiano e arabo.
Un tuono sordo scosse le fondamenta della fortezza. L’acqua nella vasca si alzò come una colonna liquida. Le iscrizioni si fusero in un’unica parola che si udì nitida, come una voce collettiva:
“Amore.”
Poi, silenzio.
Quando la luce si spense, restarono solo loro tre.
Gli uomini della Casta giacevano a terra, le maschere spaccate, gli occhi chiusi come in un sonno profondo. Il beduino tremava, Rosy respirava a fatica, e Boruma, in piedi al centro, con il Sigillo tra le mani, sentì un dolore acuto al petto: non fisico, ma emotivo.
Forse, per la prima volta, aveva davvero toccato il confine tra umano e divino.

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