CAPITOLO XXXVII — Le ombre del mare antico

L’ingresso ad Alessandria fu come varcare una soglia invisibile.

Il vento del deserto si placò all’improvviso, e al suo posto arrivò l’odore salmastro del Mediterraneo.

Il mare, laggiù, non era più una linea: era una carezza materna.

Boruma rallentò il passo.

Le scarpette sollevavano polvere e sabbia mescolate al sale, e in lontananza la città prendeva forma: un mosaico di cupole, minareti, edifici coloniali, gru e fari.

Luce e pietra, antico e moderno, caos e silenzio.

Alessandria appariva come un miraggio perfettamente reale — un labirinto costruito per confondere chi cercava risposte.

Cru lo precedeva, la coda alta come una bandiera.

Ogni tanto si fermava, annusava l’aria, poi guardava Boruma con quell’espressione che sembrava dire: sei sicuro che dobbiamo entrare qui?

«Sì, ambasciatore,» mormorò lui con un sorriso stanco. «La conoscenza vive dove l’uomo osa perdersi.»

Lungo la Corniche, il vento portava odori di mare, benzina e spezie.

La gente camminava veloce, ma non con indifferenza: gli sguardi erano attenti, le voci calde, il disordine vitale.

Boruma riconosceva in quella confusione la musica stessa della vita.

Attraversò un mercato all’aperto.

Le voci si intrecciavano in arabo, greco e francese; frutti, tappeti, libri, pesce appena pescato, piccoli amuleti raffiguranti Iside e San Marco.

Ogni bancarella sembrava custodire un frammento del passato della città.

Un venditore anziano, vedendo Boruma osservare una pergamena, gli disse piano:

«Tutto ciò che vive, lascia un’ombra. Alessandria è l’ombra del mondo.»

Boruma annuì, colpito.

Non sapeva se fosse una frase di un poeta o di un uomo semplice, ma le parole gli restarono addosso.

Camminò ancora, fino al porto.

Lì il mare era di un azzurro profondo, e le barche dei pescatori sembravano sospese tra luce e tempo.

Sul molo, il vento soffiava più fresco, e in lontananza il faro antico — quello che un tempo fu una delle meraviglie del mondo — appariva come un fantasma di pietra.

Boruma si sedette su un gradino, guardando l’acqua.

Il rumore delle onde gli entrò nel petto, e per un momento sentì Napoli.

Non la città come luogo, ma come presenza viva.

Napoli, con i suoi vicoli stretti che odorano di storia e di fritto, le sue chiese che nascondono leggende, i murales di santi e rivoluzionari, la voce del venditore di sfogliatelle, le campane che rintoccano tra i panni stesi, le mani che benedicono e rubano nello stesso gesto.

Napoli, dove anche la malinconia è un colore, dove la gente ride per non morire di nostalgia.

Lui lì non si era mai sentito solo, nemmeno nei giorni più tristi.

C’era sempre un sorriso, una battuta, un raggio di sole che scendeva tra i palazzi a ricordargli che la vita, nonostante tutto, era ancora sacra.

E ora, in quella città straniera, lo capiva ancora di più.

Alessandria e Napoli erano sorelle: città di mare, di luce, di caos e di anima.

Una sospirava in arabo, l’altra in napoletano, ma parlavano la stessa lingua — quella dei popoli che non si arrendono mai.

Un gabbiano planò vicino, posandosi su un parapetto.

Cru lo seguì con lo sguardo, poi si sdraiò accanto a Boruma, ansimando piano.

Il sole scendeva lento, e il mare cominciava a tingersi di rosso.

In quel momento, Boruma pensò a Rosy.

Alla sua voce, alla calma che portava nei luoghi feriti, a come sapeva parlare ai bambini senza mai alzare la voce.

Si domandò se anche lei, in quell’istante, stesse pensando a lui.

Poi si rispose da solo: sì, lo sta facendo.

Chiuse gli occhi.

Il vento di Alessandria portava un suono lontano — un canto.

Forse una preghiera, forse un richiamo antico che proveniva dal porto.

Sembrava una voce di donna, e il cuore di Boruma, stanco, sobbalzò.

Aprì gli occhi: sul molo, tra le ombre, una figura avvolta in un velo color sabbia lo osservava.

Non si mosse, non parlò.

Poi, come se fosse fatta di luce, sparì tra i riflessi del tramonto.

Boruma restò immobile, il respiro sospeso.

Cru si alzò, annusò l’aria, poi guardò il suo compagno con occhi che sembravano umani.

Boruma sorrise, amaro e dolce insieme.

«Lo so, ambasciatore. Forse era solo il vento. Ma che bello sarebbe se non lo fosse.»

Si alzò.

Davanti a lui, Alessandria brillava come un mistero antico.

Dietro di lui, Napoli gli mormorava nel cuore.

E nel mezzo, c’era lui — un uomo che correva tra due mari, in cerca di un’unica verità:

che l’amore, come il mare, non ha confini.

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5 risposte a “CAPITOLO XXXVII — Le ombre del mare antico”

    1. Avatar boruma1977

      Thanks…have a nice day.

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  1. Avatar safia begum

    Such a beautifully written passage 🌅✨— I could almost feel the desert wind fade and the sea’s gentle embrace. Truly poetic and captivating! 🌊💫

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    1. Avatar boruma1977

      Thank you from the heart for your beautifully sensitive and poetic words.
      It truly moves me to know you could feel the breath of the wind and the sea’s gentle touch within the lines… that’s exactly where I wished to hide the soul of the story.

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