Il Nilo scorreva lento, ma nella mente di Boruma il tempo aveva cambiato direzione.
Non era più a Luxor, non era più fra templi e sabbia antica. Era tornato al mare.
Non a quello lontano, straniero. Ma a quello che gli scorreva nel sangue.
Massa Lubrense.
Marina della Lobra.
Il Vervece.
Lo rivide come se fosse lì davanti a lui:
lo scoglio solitario nel blu profondo, il faro come un occhio vigile sulla notte, e sotto—nelle viscere fredde del mare—la statua silenziosa della Madonna, circondata da un silenzio sacro e tremante.
E sopra l’acqua… le barche.
Decine di pescherecci che avanzavano lenti, come in una danza antica insegnata dal tempo stesso. I volti dei pescatori erano scavati dal sale e dal sole, ma avevano occhi limpidi, occhi pieni di rispetto e gratitudine. Non avevano nulla, eppure sembravano possedere l’universo.
Era stato Giancarlo a portarlo lì.
Giancarlo…
Ci avevano messo un attimo a riconoscersi, in quel corridoio d’ospedale a Firenze, molti anni dopo quell’estate lontana.
«Ué… ma tu… tu si’ ‘o guaglione ‘e Marina d’â Lobra?»
«E tu si’ chill’ ‘e ‘o pallone scassato ‘int’a sagrestia?!»
E poi una risata lunga, potente, liberatoria.
Una risata che aveva fatto voltare i pazienti, i colleghi, i muri stessi.
Giancarlo era cresciuto.
Sempre alto, sempre massiccio. Un corpo da guerriero e un’anima da monaco.
Gli occhi scuri e profondi tradivano un’origine lontana, antica, quasi mediorientale — come se il sangue dei popoli passati fosse ancora vivo dentro di lui.
Cattolico devoto, ma mai cieco.
La fede per lui non era un muro: era un ponte.
Lo invitò quella sera.
«Vuo’ venì cu’ mme, Borù? Nun è ‘na festa… è ‘nu giuramento d’ ‘o mare.»
E lui andò.
Il cielo era nero come velluto.
La banda del paese suonava una melodia lenta, struggente.
Le barche si muovevano come un unico grande corpo guidato dalla luna.
E poi, quando arrivarono davanti al Vervece, il silenzio.
Un silenzio irreale.
Come se Dio stesso stesse trattenendo il respiro.
Boruma guardò i volti dei pescatori, di Giancarlo, della gente sulla riva. Vide fede, paura, speranza, coraggio. Vide uomini pronti a sfidare ogni notte il mare per continuare a vivere un altro giorno.
Capì una cosa in quell’istante:
La vera preghiera non è nelle parole.
È negli occhi di chi non smette di credere.
Quando la statua tornò in superficie, accompagnata dal bagliore tremolante delle fiaccole, qualcuno pianse.
Non era tristezza. Era riconoscenza.
E poi i fuochi.
Un’esplosione di luce nel cielo — come se il mare rispondesse al cielo e il cielo al mare.
Giancarlo gli mise una mano sulla spalla.
«Vire, Boruma… nun è ‘a religione che c’ ‘a salva.
È ‘a capacità ‘e vulé bene ‘e criature.»
E aggiunse, guardandolo dritto negli occhi:
«Tu, quanno curi ‘a gente, ‘o faje pe’ Dio pure si nun ‘o sape.
Si ‘na medicina ca cammina.»
Quelle parole gli erano rimaste addosso come un marchio luminoso.
Fu Giancarlo a insegnargli che la vera empatia è azione.
Che una risata può tenere in vita una persona.
Che una mano sulla spalla può salvare più di mille sermoni.
E quando Boruma partì per Como, lasciando Napoli, il mare e la nonna, Giancarlo gli disse l’ultima cosa importante:
«Si te perd ‘int’ ‘o friddo d’ ‘o munno, Borù…
ricuordate sempe d’ ‘o mare.
‘O mare nun tradisce maje.»
Ora, a Luxor, davanti a un Sigillo che parlava di unione tra le religioni, Boruma capì qualcosa di immenso:
Il messaggio non era nuovo.
Lo aveva sempre saputo.
Lo avevano insegnato:
– sua madre nella cucina piena di vapore e canti
– sua nonna con le mani infarinate
– Dante con la sua voce da profeta sui marciapiedi di Napoli
– Giancarlo con la sua fede quieta e potente
– e persino Rosy, con il suo silenzio forte e il suo amore dato ai bambini senza chiedere nulla in cambio
Il Sigillo non stava rivelando una scoperta.
Stava ricordando al mondo qualcosa che il mondo aveva dimenticato:
L’amore è più grande di ogni religione.
E l’empatia è la vera lingua universale.
Cru gli passò accanto, silenzioso, e Boruma sorrise.
Sentì il cuore gonfiarsi, come quando da ragazzo correva lungo il lungomare di Mergellina canticchiando “Radio Ga Ga”.
E per un istante breve ma eterno, capì:
Non era solo in quel viaggio.
Non lo era mai stato.
Il Sigillo brillò appena sotto la stoffa.
Qualcosa stava per accadere.
E questa volta…
il mondo stava davvero per ascoltare.

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