Il vento della sera era cambiato.
Non portava più solo l’odore del Nilo, del papiro bagnato e del fumo dei bracieri.
Portava qualcosa di più sottile.
Qualcosa che Boruma aveva imparato a riconoscere:
il respiro della Casta.
Cru lo percepì per primo.
Il pelo della schiena si drizzò, le orecchie si tesero come due antenne perfette.
Boruma lanciò un’occhiata dietro le spalle.
Nessuno.
Solo il riflesso del cielo purpureo sulle acque del fiume.
Eppure… qualcuno li stava seguendo.
Dopo l’incontro con Nayla, la veggente di Luxor, Boruma sapeva che il suo cammino non sarebbe più stato solo una fuga.
Era una caccia.
E non era lui a inseguire:
era il Sigillo che attirava ciò che nel mondo era luce… e ciò che nel mondo era tenebra.
«Tranquillo, ambasciatore,» mormorò Boruma a Cru.
«Se arrivano, li salutiamo alla napoletana.»
Cru emise un soffio breve, come una risata di cane.
La trappola
Quando raggiunsero il ponte vecchio di Luxor, Boruma si fermò.
Non perché fosse stanco — lui e la stanchezza si erano lasciati da anni —
ma perché vide qualcosa che non quadrava.
Tre figure immobili.
Non beduini.
Non turisti.
Non guardie.
Le sagome della Casta avevano un modo preciso di stare in piedi:
nessun peso su un lato, schiena allineata, mani pronte.
L’uomo che aveva imparato a osservare i pazienti al letto,
il corridore che legava ogni istinto al respiro,
l’infermiere abituato a leggere i dettagli…
…Boruma li riconobbe all’istante.
«Ci hanno trovato,» mormorò.
Cru rispose con un ringhio che sembrava un tuono lontano.
Una delle figure avanzò.
Un passo lento, misurato.
Il volto coperto, ma gli occhi… quegli occhi non mentivano.
«Boruma,» disse l’uomo con voce calma, come chi annuncia la fine di una lezione, «non puoi continuare a correre all’infinito.»
Boruma sorrise.
Quel sorriso suo, unico, quello che Shelley amava, quello che Rosy ricordava come una fiamma amica.
«Chi ti ha detto che corro per fuggire?»
Alzò un sopracciglio.
«Magari sto solo facendo riscaldamento.»
Un attimo di silenzio.
Il capo della Casta strinse la mandibola.
«Consegna il Sigillo.»
«Te lo impacchetto? Vuoi anche il bigliettino d’auguri?»
Il capo fece un cenno.
Le due ombre laterali scattarono.
Lo scontro
La prima lama cercò la gola di Boruma.
Errore.
Boruma non era un combattente, ma aveva il corpo educato da migliaia di chilometri di corsa:
sapeva piegarsi, scivolare, ruotare come acqua.
La lama trovò solo aria.
Il suo ginocchio trovò lo sterno dell’attaccante.
Un tonfo.
Fiato spezzato.
Cru travolse il secondo come un ariete.
Denti sul braccio, ma senza affondare nella carne — il giusto per togliere forza, non vita.
Boruma vide l’uomo oscillare come una palma nel vento.
Il capo restò fermo.
«Non capisci…» disse con calma.
«Il Sigillo non è una reliquia. È un ordine. È un codice. È…»
«È una verità che temete,» lo interruppe Boruma.
«E una verità che ameranno i popoli.»
Il capo fece un passo avanti.
E proprio in quell’istante accadde qualcosa.
L’illusione che fallisce
L’aria tremò.
Una figura cominciò a prendere forma davanti a Boruma.
Una donna.
Capelli lunghi.
Occhi chiari.
Shelley.
Un’illusione perfetta, identica a quella della fortezza…
ma qualcosa era diverso.
Boruma non si fermò.
Non indietreggiò.
Non pianse.
Sorrise.
Un sorriso colmo di gratitudine e addio.
«Ci avete provato una volta,» disse piano.
«Ma questa volta… non funziona.»
Shelley svanì come fumo.
Il capo della Casta rimase interdetto.
«Come hai…?»
«Si chiama amore, genio.»
Poi aggiunse, guardandolo dritto negli occhi:
«Quello vero. Non lo potete simulare.»
La fuga
Un rumore.
Cru scattò verso sinistra.
Boruma lo seguì.
Dal muro alle loro spalle esplose un fascio di luce fredda:
un proiettile ad alta energia, silenzioso, perfetto.
La Casta non era più sola.
Avevano portato armi nuove.
E non c’era tempo.
«Cru, via!»
Il cane balzò in avanti.
Boruma dietro di lui.
Saltarono sul bordo del ponte.
Corsero lungo la balaustra.
Il Nilo sotto era scuro come inchiostro.
Un altro fascio di luce.
Sfiorò Boruma.
Bruciò la pietra.
Il capo urlò:
«Il Sigillo è nostro!»
«Venite a prenderlo!» rispose Boruma.
E si gettò nel vuoto.
Il Nilo
L’acqua li accolse come una madre severa.
Fredda.
Forte.
Senza pietà.
Boruma riemerse ansimando.
Cru nuotava come un leone d’acqua.
Dietro di loro, le luci del ponte si moltiplicavano.
«Ok…» ansimò Boruma.
«Questa… era nuova.»
Nuotarono verso la riva opposta, dove gli alberi del vecchio giardino del Tempio di Amon Ra formavano una barriera naturale.
Dietro, la Casta li cercava.
Ma il fiume, per quella notte, decise di proteggerli.
L’approdo
Quando raggiunsero la riva, Boruma si lasciò cadere sull’erba bagnata.
Cru gli posò il muso sul petto.
«Siamo vivi, ambasciatore.»
Un sorriso stanco.
«E domani… sarà ancora più dura.»
Sapeva che Nayla aveva ragione.
Le ombre stavano arrivando.
Nuove, più sottili.
E forse non appartenevano neppure alla Casta.
Si alzò.
Strinse il Sigillo al petto.
«Andiamo,» disse a Cru.
«La verità non si scopre da sola.»
E Luxor, sotto la luna piena, sembrò trattenere il respiro.

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